Se ci fosse la pena di morte, se mai fosse applicabile, questo sarebbe il caso. Al padre, alla madre, al dottore e al giudice.
Da questa frase parte il caso Sallusti, o meglio dall’articolo che contiene anche questo fra altri pesanti giudizi sull’operato di genitori e giudici nel caso di una ragazza di 15 anni che dopo un’infanzia piuttosto travagliata si è trovata di fronte alla scelta dell’aborto.
Ce ne è sicuramente abbastanza per una querela, visto che la vicenda, così come ricostruita allora da Libero, era sostanzialmente falsa. E siccome siamo in Italia, vige l’attuale legge sulla stampa, l’articolo non era firmato, Libero non ha mai pubblicato rettifica, c’è andato di mezzo il direttore di allora.
Ora tutti accorrono in aiuto del Direttore Sallusti, martire della “libertà di parola”. Molti di questi fino a qualche mese fa si sbracciavamo contro la “diffamazione via internet” e chiedevano l’assimilazione alle testate giornalistiche dei blog. Allora la libertà di parola ovviamente non era in pericolo.
Oggi però men che meno. Bastava poco, due righe di rettifica in ottava pagina sotto i necrologi per evitarsi la denuncia e la condanna, che pare sinceramente sacrosanta. Ma evidentemente la linea politica del giornale e del suo direttore non permetteva di piegarsi alla verità.
Il carcere è troppo per una diffamazione? Sono d’accordo. Come è troppo anche per quei poveracci che ci finiscono con 10 grammi di hashish in tasca. Poi figuriamoci se voglio veder Sallusti in galera, i detenuti hanno già abbastanza problemi, ci manca solo lui a pontificare nell’ora d’aria.
Quindi depenalizziamo, subito, e non solo la diffamazione.
Ma nel frattempo, per cortesia, smettiamola almeno di fare gli ipocriti.
PS: si “scopre” oggi che l’autore del pezzo è l’ex giornalista Renato Farina, ora parlamentare PDL, e le mie convinzioni sulla depenalizzazione si incrinano…
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