Del Senato e della sua riforma/1

Del Senato e della sua riforma/1

Dichiarazione di Walter Tocci sulla riforma del SenatoRiporto, perchè la condivido, la dichiarazione di voto al Senato di Walter Tocci sulla revisione costituzionale dell’8 Agosto 2014.

Credo che sprecare la possibilità di riformare realmente il bicameralismo legandosi mani e piedi a Berlusconi, Alfano e Giovanardi sia uno dei più grandi errori che il nostro Presidente del Consiglio potesse fare.

Dopo le europee aveva la forza per poter cercare una mediazione alta. Ha scelto di stare al livello di Verdini.

Speravo di modificare il giudizio negativo espresso nella discussione generale. Invece, sono costretto ad aggravarlo non solo per i contenuti, anche per il metodo. Non partecipo al voto, ma rimango al mio posto per rispetto dell’aula e del mio partito.
Il governo ha impedito di apportare al testo quei miglioramenti che sarebbero stati ampiamente condivisi. Avevo proposto, nella seduta di una settimana fa, il superamento delle contrapposizioni, chiedendo ai relatori di illustrare in aula i possibili cambiamenti e alle opposizioni di ritirare i tanti emendamenti inutili. Anche la ministra Boschi si era dichiarata disponibile e aveva chiesto due ore per rifletterci. Siamo ancora in attesa di una risposta. In verità il governo ha deciso di chiudere il confronto e di rinviare eventuali modifiche alla Camera, utilizzando ancora una volta i vantaggi del bicameralismo che si vuole eliminare. L’unico cambiamento positivo c’è stato su referendum e leggi di iniziativa popolare anche per rimediare a evidenti errori commessi in Commissione.
L’Assemblea ha mostrato di non apprezzare la revisione costituzionale. Alcuni senatori di maggioranza sono stati costretti a ritirare gli emendamenti che avevano firmato. Molti colleghi hanno fatto sentire il dissenso solo con il voto segreto. Peccato che non lo abbiano espresso alla luce del sole. D’altro canto, chi ha criticato in modo trasparente e leale non ha ottenuto risposte di merito, ma è stato ricoperto di insulti a livello personale. Quando si tratta della Costituzione, è la qualità del dibattito a decidere in gran parte l’esito.
Non era mai accaduto nella storia repubblicana che il capo del governo imponesse una sorta di voto di fiducia sul cambiamento della Carta.
Aveva cominciato con l’intenzione di raccogliere il malessere dell’opinione pubblica verso le prerogative del ceto politico. Ma poi ci ha ripensato, conservando l’immunità per i consiglieri regionali che diventano senatori. Aveva promesso di tagliare i costi della politica, ma ha deciso di non ridurre il numero dei deputati. Questo cedimento ha creato uno squilibrio. La Camera diventa sei volte più grande del Senato e consente a chi vince le elezioni di utilizzare il premio di maggioranza per impossessarsi del Quirinale. Diciamo la verità: se Berlusconi avesse modificato la Costituzione indebolendo l’indipendenza della Presidenza della Repubblica avremmo riempito le piazze.
Nel ventennio passato, non solo a destra, anche a sinistra si è rafforzato il potere esecutivo a discapito del legislativo. Eppure la Seconda Repubblica non aveva concluso l’opera. Ci voleva un uomo nuovo per attuare il programma della vecchia classe politica.
La crisi italiana non è istituzionale, è politica, perché dipende dalla mancanza di progetti chiari e distinti. La destra non ha realizzato il liberismo che aveva promesso e la sinistra non ha contrastato le diseguaglianze come le competeva. I due poli poli hanno chiesto più poteri di governo senza sapere cosa farne. Tutto ciò ha prodotto tante leggi, ma nessuna vera riforma. Il vuoto è riempito dalle illusioni mediatiche. La cancellazione del Senato elettivo è un incantesimo per far credere ai cittadini che ora le decisioni saranno più spedite e produrranno di milioni di posti di lavoro. Purtroppo la realtà è ben diversa. Questa legge non porterà alcun beneficio ai cittadini.
Bisognava spendere la formidabile vittoria elettorale per ottenere la svolta in Europa. Avevamo tanto atteso il semestre a guida italiana, poteva dare un impulso all’iniziativa diplomatica del vecchio continente, proprio mentre si accendevano i fuochi di guerra a Est e nel Mediterraneo. Invece, si è bloccata la nomina del ministro degli esteri europeo. Se il premier avesse candidato Enrico Letta, prima che altri facessero quel nome, avrebbe dato prova di uomo di Stato che mette l’interesse generale prima delle inimicizie personali.
Torna il rischio di un avvitamento della crisi economica. Erano stati chiesti margini di flessibilità all’Europa, ma sono arrivate risposte negative. Il governo italiano si è rassegnato, passando a occuparsi solo del Senato e oggi raggiunge il suo obiettivo.
Il nostro ordinamento ne uscirà più confuso, gli elettori non sceglieranno gli eletti e si indeboliranno i contrappesi che rendono forti le democrazie europee.
Tuttavia, c’è un lato positivo. L’incantesimo non serve più. Da oggi si torna alla realtà. È finito l’alibi ventennale delle riforme istituzionali. I governi dovranno dimostrare di avere le idee e le capacità di governare.

 

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